In un lavoro precedente Marco ha dato forma a una riflessione sulla globalizzazione partendo
sulle tracce delle navi cargo che attraversano il mondo. Dei container giganteschi coprivano tutto
il campo visivo dell’obiettivo, impedendoci di vedere oltre, di vedere l’orizzonte, perché Marco
voleva che si osservasse l’invisibile, ossia tutto ciò che è traportato all’interno di quei container e
che non possiamo vedere. La globalizzazione è sotto i nostri occhi, satura la vista, eppure non
riusciamo a vedere di cosa è veramente fatta.
Marco conosce bene il mondo, credo che oramai non vi sia più un paese in cui non abbiamo
messo piede. Per molti anni ho seguito il suo lavoro e in alcuni casi ho avuto la fortuna di
condividere con lui viaggi e creazioni. Col passare del tempo è diventato sempre più chiaro il
fatto che la sua ossessiva indagine della realtà, che sia nell’angolo più remoto del continente
africano o sotto casa, è sempre stata una ricerca di simboli: non gli interessa cogliere l’attimo,
vuole cogliere il mistero che lo avvolge. Marco è sempre alla ricerca dell’invisibile, in tutte le sue
sfumature. Il suo viaggiare è soprattutto mentale ed era inevitabile che alla fine la sua ricerca
artistica prendesse una forma dichiaratamente concettuale. Questa serie mi sembra
rappresentare l’apice del suo percorso.
Per arrivare alla forma essenziale di queste navi sospese sull’orizzonte Marco ha dovuto
attraversare il mondo, poi decidere quale fosse il luogo più vicino alla sua anima e finalmente
stabilire un dialogo con gli Dei del posto. Il luogo si è rivelato essere la punta estrema a Sud della
Spagna, sotto le colonne di Ercole, lì dove Africa e Europa sembrano sul punto di congiungere le
labbra. Gli Dei del posto ora sono le navi cargo.
Con queste enormi imbarcazioni Marco ha stabilito un dialogo. I primi scatti di questa serie, sobri
nella loro monocromia e minimalisti nella composizione, visti assieme sembrano creare un
originale alfabeto morse. Un linguaggio in codice con cui poi prendono forma dei racconti,
misteriosi ed emozionanti. Quando ho scorso per la prima volta quegli scatti uno ad uno su un
grande schermo mi sono commosso fino alle lacrime. Mi sembravano raccontare in modo
sensibile tutti gli stati d’animo che si attraversano in una vita. Lo facevano con grande sobrietà,
giocando con modestia il ruolo dello specchio, nel modo più profondo. Mi sembrava anche
d’inserirmi in un dialogo intimo che Marco aveva iniziato con le navi cargo, una forma
d’iniziazione. Perché di un artista non c’interessa solo vedere le opere, ci emoziona poterne
condividere lo sguardo.
Lì dove qualsiasi altra persona avrebbe fotografato la trivialità di grosse navi che attraversano uno
stretto, Marco ha saputo sublimare gli elementi, elevando la nostra capacità di osservare. Non
credo vi sia per un’artista una missione più importante di questa. Dai tempi dell’antica Grecia le
colonne di Ercole segnalano i limiti del mondo conosciuto, il punto oltre il quale ogni sguardo
sarà nuovo. Non poteva esserci luogo più appropriato per fare approdare le navi di Marco
D’Anna.
Stefano Knuchel
Balerna, 4.10.2022